A Imola i tre punti a un certo punto c’erano, e potevano rimanerci, lì, in saccoccia, maledizione. I forti di forte coraggio hanno tenuto botta, poche sbavature, a parte il gol del pareggio, quasi un contropiede con l’Imolese che giocava con l’uomo di movimento. Che vuol dire: tepòssino! Ma anche: senza paura. Gli uomini ci sono: e sabato ( e solo sabato, sicuramente no nel momento in cui scrivo) si capirà se della partita potranno essere anche Branca, o il Mario, o tutti e due. Orsi di sicuro no: la sua comunicazione non verbale lo spedisce da questa parte qua, in tribuna, dove finisce l’anno anche mister Bortolini per eccesso di comunicazione verbalissima. Ne ferisce più la lingua: e sto pensando con un bel po’ di invidia a quale motto è ricorso il nostro Alessio per meritarsene due, di giornate di squalifica. Capirete che sto parlando al passato: non tanto per non entrare nel merito del match che ci aspetta, con il Cornedo, che vuol dire a sua volta ricordi lontani tipo un “ForzaCornedo” con la kappa e tre zeta urlato al cielo dall’olimpico Skurko, ma nell’immediato la squadra che ha battuto la similimbattibile armada del Chiuppano. No, no. Parlo al passato per evitarmi la lacrimuccia che mi spunta, alla fine di ogni anno da Canottiere: per me son tredici, per questi colori venti nel 2018. Arrivati qui in fondo, ogni volta, siamo stati a metà: della nostra stagione, tra quello che si immagina e quello che si vede, nel bilancio, umanissimo, tra quello che c’è e quello che non c’è. Il presente è spesso la miglior cura. E la Canottieri c’è.